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– Ah furfante! dunque i danari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito!
E Pinocchio, duro!
– Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po’, ché penseremo noi a farteli sputare!
Difatti uno di loro afferrò il burattino per la punta del naso e quell’altro lo prese per la bazza, e lì cominciarono a tirare uno per in qua e l’altro per in là, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso. La bocca del burattino pareva ribadita.
Allora l’assassino più piccolo di statura, cavato fuori un coltellaccio, provò a conficcarglielo a guisa di leva e di scalpello fra le labbra: ma Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzannò la mano coi denti, e dopo avergliela con un morso staccata di netto[70], la sputò; e figuratevi la sua meraviglia quando, invece di una mano, si accorse di avere sputato in terra uno zampetto di gatto.
Incoraggiato da questa prima vittoria, si liberò degli assassini, e cominciò a fuggire per la campagna. E gli assassini a correre dietro a lui, come due cani dietro una lepre: e quello che aveva perduto uno zampetto correva con una gamba sola.
Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva più. Allora si arrampicò su per il fusto di un altissimo pino e si pose a sedere in vetta ai rami. Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro, ma giunti a metà del fusto sdrucciolarono e, ricascando a terra, si spellarono le mani e i piedi.
Non per questo si dettero per vinti[71]: anzi, raccolto un fastello di legna secche a piè del pino, vi appiccarono il fuoco. Il pino cominciò a bruciare. Pinocchio, vedendo che le fiamme salivano sempre più e non volendo far la fine del piccione arrosto, spiccò un bel salto di vetta all’albero, e via a correre daccapo attraverso ai campi e ai vigneti. E gli assassini dietro, sempre dietro.
Intanto cominciava a baluginare il giorno e si rincorrevano sempre; quand’ecco che Pinocchio si trovò sbarrato il passo[72] da un fosso largo e profondissimo, tutto pieno di acqua sudicia, color del caffè e latte. Che fare? “Una, due, tre!” gridò il burattino, e saltò dall’altra parte. E gli assassini saltarono anche loro, ma non avendo preso bene la misura, patatunfete!.. cascarono giù nel bel mezzo del fosso. Pinocchio che sentì il tonfo e gli schizzi dell’acqua, urlò ridendo e seguitando a correre:
– Buon bagno, signori assassini!
E già si figurava che fossero affogati, quando invece, voltandosi a guardare, si accorse che gli correvano dietro tutti e due, sempre imbacuccati nei loro sacchi, e grondanti acqua.
15. Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande
Allora il burattino fu proprio sul punto di gettarsi in terra, quando vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.
– Se io avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo! – disse dentro di sé.
E senza indugiare un minuto, riprese a correre per il bosco a carriera distesa. E gli assassini sempre dietro.
Dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente, tutto trafelato, arrivò alla porta di quella casina e bussò.
Nessuno rispose.
Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore dei passi e il respiro affannoso de’ suoi persecutori. Lo stesso silenzio.
Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini, gli occhi chiusi, la quale, senza muover punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall’altro mondo:
– In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti.
– Aprimi almeno tu! – gridò Pinocchio piangendo.
– Sono morta anch’io.
– Morta? e allora che cosa fai alla finestra?
– Aspetto la bara che venga a portarmi via.
Appena detto così, la Bambina disparve, e la finestra si richiuse senza far rumore.
– O bella Bambina dai capelli turchini, – gridava Pinocchio – aprimi per carità. Abbi compassione di un povero ragazzo inseguito dagli assass…
Ma non potè finir la parola, perché sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociacce che gli brontolarono:
– Ora non ci scappi più!
Il burattino fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.
– Dunque? – gli domandarono gli assassini – vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare[73]: ché questa volta te la faremo aprir noi!..
E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff e zaff…, gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano.
– Ho capito – disse allora un di loro – bisogna impiccarlo!
– Impicchiamolo! – ripetè l’altro.
Detto fatto, gli legarono le mani dietro le spalle, e, passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.
Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti e la bocca chiusa.
Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero:
– Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare morto e con la bocca spalancata.
E se ne andarono.
Intanto s’era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato, facendolo dondolare violentemente. E quel dondolio gli cagionava spasimi, e il nodo scorsoio, stringendosi sempre più alla gola, gli toglieva il respiro.
A poco a poco gli occhi gli si appannarono; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava sempre che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo… e balbettò quasi moribondo:
– Oh babbo mio! se tu fossi qui!..
E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.
16. La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto
In quel mentre[74] che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo, la bella Bambina dai capelli turchini si affacciò daccapo alla finestra, e impietositasi alla vista di quell’infelice che, sospeso per il collo, ballava il trescone alle ventate di tramontana, battè per tre volte le mani insieme, e fece tre piccoli colpi.
A questo segnale si sentì un gran rumore di ale che volavano con foga precipitosa, e un grosso Falco venne a posarsi sul davanzale della finestra.
– Che cosa comandate, mia Fata? – disse il Falco abbassando il becco in atto di riverenza.
– Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande?
– Lo vedo.
– Orbene: vola subito laggiù; rompi col tuo fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria, e posalo delicatamente sdraiato sull’erba, a piè della Quercia.
Il Falco volò via e dopo due minuti tornò, dicendo:
– Quel che mi avete comandato, è fatto.
– E come l’hai trovato? Vivo o morto?
– A vederlo pareva morto, ma non dev’essere ancora morto, perché appena gli ho sciolto il nodo scorsoio che lo stringeva intorno alla gola, ha lasciato andare un sospiro, balbettando a mezza voce: “Ora mi sento meglio!..”
Allora la Fata, battendo le mani insieme, fece due piccoli colpi, e apparve un magnifico Cane-barbone, che camminava ritto sulle gambe di dietro.
Il Cane-barbone era vestito da cocchiere in livrea di gala. Aveva parrucca bianca coi riccioli che gli scendevano giù per il collo, una giubba color di cioccolata coi bottoni di brillanti e con due grandi tasche per tenervi gli ossi, che gli regalava a pranzo la padrona, un paio di calzoni corti di velluto cremisi, le calze di seta, gli scarpini scollati.
– Senti, Medoro! – disse la Fata al Cane-barbone. – Fa’ subito attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Sotto la Quercia grande, troverai disteso sull’erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari[75] su i cuscini della carrozza e portamelo qui. Hai capito?
Il Cane-barbone, per fare intendere che aveva capito, dimenò tre o quattro volte la fodera di raso turchino, che aveva dietro, e partì come un barbero.
Di lì a poco[76], si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color dell’aria. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il Cane-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un vetturino quand’ha paura di aver fatto tardi.
Non era ancora passato un quarto d’ora, che la carrozzina tornò e la Fata, che stava aspettando sull’uscio di casa, prese in collo[77] il povero burattino, e portatolo in una cameretta che aveva le pareti di madreperla, mandò subito a chiamare i medici più famosi del vicinato.
E i medici arrivarono subito uno dopo l’altro: arrivò, cioè, un Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante.
– Vorrei sapere da lor signori – disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio – vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia vivo o morto!..
A quest’invito, il Corvo tastò il polso a Pinocchio, poi gli tastò il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand’ebbe tastato ben bene, pronunziò queste parole:
– A mio credere[78] il burattino è morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!
– Mi dispiace – disse la Civetta – di dover contraddire il Corvo, mio amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero.
– E lei non dice nulla? – domandò la Fata al Grillo-parlante.
– Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto. Del resto quel burattino, non m’è fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo[79]!
Pinocchio, che fin allora era stato immobile come un vero pezzo di legno, ebbe una specie di fremito convulso, che fece scuotere tutto il letto.
– Quel burattino – seguitò a dire il Grillo-parlante – è una birba…
Pinocchio aprì gli occhi e li richiuse subito.
– È un vagabondo…
Pinocchio si nascose la faccia sotto i lenzuoli.
– Quel burattino è un figliolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo!..
A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti. Figuratevi come rimasero tutti, allorché, sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva era Pinocchio.
– Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione – disse il Corvo.
17. Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso
Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone.
Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d’acqua e gli disse amorosamente:
– Bevila, e in pochi giorni sarai guarito.
Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi domandò con voce di piagnisteo:
– È dolce o amara?
– È amara, ma ti farà bene.
– Se è amara non la voglio.
– Da’ retta a me[80]: bevila.
– A me l’amaro non mi piace.
– Bevila: e quando l’avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero.
– Dov’è la pallina di zucchero?
– Eccola qui – disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.
– Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell’acqua amara…
– Me lo prometti?
– Sì…
La Fata gli dette la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:
– Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!.. Mi purgherei tutti i giorni.
– Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d’acqua, che ti renderanno la salute.
Pinocchio prese di mala voglia[81] il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso: poi se l’accostò alla bocca: poi tornò a ficcarci la punta del naso: finalmente disse:
– È troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere.
– Come fai a dirlo se non l’hai nemmeno assaggiata?
– L’ho sentita all’odore. Voglio prima un’altra pallina di zucchero… e poi la beverò!
Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po’ di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere.
– Così non la posso bere! – disse il burattino, facendo mille smorfie.
– Perché?
– Perché mi dà noia[82] quel guanciale che ho laggiù su i piedi.
La Fata gli levò il guanciale.
– È inutile! Non la posso bere.
– Che cos’altro ti dà noia?
– Mi dà noia l’uscio di camera, che è mezzo aperto.
La Fata andò, e chiuse l’uscio di camera.
– Insomma – gridò Pinocchio, dando in uno scoppio di pianto[83] – quest’acqua amara, non la voglio bere, no, no, no!..
– Ragazzo mio, te ne pentirai…
– Non me n’importa…
– La tua malattia è grave…
– Non me n’importa…
– La febbre ti porterà in poche ore all’altro mondo…
– Non me n’importa…
– Non hai paura della morte?
– Nessuna paura!.. Piuttosto morire, che bevere quella medicina cattiva.
A questo punto, la porta della camera si spalancò, ed entrarono dentro quattro conigli neri, che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.
– Che cosa volete da me? – gridò Pinocchio.
– Siamo venuti a prenderti – rispose il coniglio più grosso.
– A prendermi?… Ma io non sono ancora morto!..
– Ancora no: ma ti restano pochi minuti di vita, avendo tu ricusato di bevere la medicina, che ti avrebbe guarito della febbre!..
– O Fata mia! – cominciò allora a strillare il burattino – datemi subito quel bicchiere… Spicciatevi, per carità, perché non voglio morire, no… non voglio morire.
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