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E a titolo di correzione, gli affibbiò subito una frustata nelle gambe.
Pinocchio, dal gran dolore, cominciò a piangere e a ragliare, e ragliando disse:
– J-a, j-a, la paglia non la posso digerire!..
– Allora mangia il fieno! – replicò il padrone, che intendeva benissimo il dialetto asinino.
– J-a, j-a, il fieno mi fa dolere il corpo!..
– Pretenderesti, dunque, che un somaro, lo dovessi mantenere a petti di pollo? – soggiunse il padrone arrabbiandosi sempre più, e affibbiandogli una seconda frustata.
A quella seconda frustata Pinocchio si chetò subito e non disse altro.
Intanto la stalla fu chiusa e Pinocchio rimase solo: e perché erano molte ore che non aveva mangiato, cominciò a sbadigliare dal grande appetito.
Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegnò a masticare un po’ di fieno: e dopo averlo masticato ben bene, chiuse gli occhi e lo tirò giù.
– Questo fieno non è cattivo – poi disse dentro di sé – ma quanto sarebbe stato meglio che avessi continuato a studiare!.. A quest’ora, invece di fieno, potrei mangiare un cantuccio di pan fresco e una bella fetta di salame! Pazienza!..
La mattina dopo, svegliandosi, cercò subito nella greppia un altro po’ di fieno; ma non lo trovò, perché l’aveva mangiato tutto nella notte.
Allora prese una boccata di paglia tritata; e in quel mentre che la stava masticando, si dovè persuadere che il sapore della paglia tritata non somigliava punto né al risotto alla milanese né ai maccheroni alla napoletana.
– Pazienza! – ripetè. – Che almeno la mia disgrazia possa servire di lezione a tutti i ragazzi che non hanno voglia di studiare. Pazienza!.. pazienza!..
– Pazienza un corno! – urlò il padrone, entrando in quel momento nella stalla. – Credi forse, mio bel ciuchino, ch’io ti abbia comprato per darti da bere e da mangiare? Io ti ho comprato perché tu lavori e perché tu mi faccia guadagnare molti quattrini. Vieni con me nel Circo e là ti insegnerò a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballare il valzer e la polca.
Il povero Pinocchio dovè imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo.
Venne finalmente il giorno, in cui il suo padrone potè annunciare uno spettacolo veramente straordinario. I cartelloni di vario coloredicevano così:
GRANDE SPETTACOLO DI GALA
Per questa sera
Sarà presentato per la prima volta Il famoso
CIUCHINO PINOCCHIO
Detto
LA STELLA DELLA DANZA
Il teatro sarà illuminato a giorno
Quella sera, come potete figurarvelo, un’ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato[132].
Non si trovava più né una poltrona, né un palco.
Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età, che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.
Finita la prima parte dello spettacolo, il Direttore vestito in giubba nera, calzoni bianchi e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si presentò al pubblico e recitò con molta solennità il seguente spropositato discorso: “Rispettabile pubblico, cavalieri e dame! L’umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre metropolitana, ho voluto procrearmi l’onore nonché il piacere di presentare a questo intelligente e cospicuo uditorio un celebre ciuchino. E col ringraziandoli, aiutateci della vostra animatrice presenza e compatiteci!”
Questo discorso fu accolto da molti applausi; ma gli applausi raddoppiarono alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie d’ottone; due camelie bianche agli orecchi, e la coda tutta intrecciata con nastri di velluto paonazzo e celeste.
E qui il Direttore fece una profondissima riverenza: quindi volgendosi a Pinocchio, gli disse:
– Animo, Pinocchio! Avanti di dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e ragazzi!
Pinocchio, ubbidiente, piegò subito i due ginocchi davanti, e rimase inginocchiato fino a tanto che il Direttore, schioccando la frusta, non gli gridò:
– Al passo!
Allora il ciuchino si rizzò sulle quattro gambe, e cominciò a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo.
Dopo un poco il Direttore gridò:
– Al trotto! – e Pinocchio, ubbidiente al comando, cambiò il passo in trotto.
– Al galoppo! – e Pinocchio staccò il galoppo.
– Alla carriera! – e Pinocchio si dette a correre di gran carriera. Ma in quella che correva come un barbero, il Direttore, alzando il braccio in aria, scaricò un colpo di pistola.
A quel colpo il ciuchino, fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero.
Rizzatosi da terra in mezzo a uno scoppio di applausi, d’urli, gli venne fatto naturalmente di alzare la testa e di guardare in su… e guardando, vide in un palco una bella signora, che aveva al collo una grossa collana d’oro dalla quale pendeva un medaglione. Nel medaglione c’era dipinto il ritratto d’un burattino.
– Quel ritratto è il mio!.. quella signora è la Fata! – disse dentro di sé Pinocchio: e lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si provò a gridare:
– Oh Fatina mia! oh Fatina mia!..
Ma invece di queste parole, gli uscì dalla gola un raglio così sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori.
Allora il Direttore, per insegnargli e per fargli intendere che non è buona creanza di mettersi a ragliare in faccia al pubblico, gli dette col manico della frusta una bacchettata sul naso.
Il povero ciuchino, tirato fuori un palmo di lingua, durò a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse così di rasciugarsi il dolore che aveva sentito.
Ma quale fu la sua disperazione quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era sparita!..
Si sentì come morire: cominciò a piangere. Nessuno però se ne accorse, e, meno degli altri, il Direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, gridò:
– Da bravo, Pinocchio! Ora farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi.
Pinocchio si provò due o tre volte: ma ogni volta che arrivava davanti al cerchio, invece di attraversarlo, ci passava di sotto. Alla fine spiccò un salto e l’attraversò: ma le gambe di dietro gli rimasero disgraziatamente impigliate nel cerchio: motivo per cui ricadde in terra dall’altra parte.
Quando si rizzò, era azzoppito, e a malapena[133] potè ritornare alla scuderia.
– Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! – gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso.
Ma il ciuchino per quella sera non si fece più rivedere.
La mattina dopo il veterinario, quando l’ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita.
Allora il Direttore disse al suo garzone di stalla:
– Che vuoi tu che mi faccia d’un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane. Portalo dunque in piazza e rivendilo.
Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla:
– Quanto vuoi di codesto ciuchino zoppo?
– Venti lire.
– Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo.
Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli dette improvvisamente uno spintone e lo gettò nell’acqua.
Pinocchio andò subito a fondo: e il compratore, tenendo sempre stretta in mano la fune, si pose a sedere sopra uno scoglio, aspettando che il ciuchino avesse tutto il tempo di morire affogato, per poi scorticarlo e levargli la pelle.
34. Pinocchio, gettato in mare, è mangiato dai pesci e ritorna ad essere un burattino come prima: ma mentre nuota per salvarsi, è ingoiato dal terribile Pescecane
Dopo cinquanta minuti che il ciuchino era sott’acqua, il compratore disse, discorrendo da sé solo:
– A quest’ora il mio povero ciuchino zoppo deve essere affogato. Ritiriamolo dunque su, e facciamo con la sua pelle questo bel tamburo.
E cominciò a tirare la fune, con la quale lo aveva legato per una gamba: e tira, tira, alla fine vide apparire a fior d’acqua… indovinate? Invece di un ciuchino morto, vide apparire a fior d’acqua un burattino vivo.
Vedendo quel burattino di legno, il pover’uomo credè di sognare e rimase intontito, a bocca aperta e con gli occhi fuori della testa.
Riavutosi un poco dal suo primo stupore, disse piangendo:
– E il ciuchino che ho gettato in mare dov’è?…
– Quel ciuchino son io! – rispose il burattino, ridendo.
– Tu?
– Io.
– Ah! mariuolo! Pretenderesti forse di burlarti di me?
– Burlarmi di voi? Tutt’altro, caro padrone: io vi parlo sul serio.
– Ma come mai tu, che poco fa eri un ciuchino, ora stando nell’acqua, sei diventato un burattino di legno?…
– Sarà effetto dell’acqua del mare. Il mare ne fa di questi scherzi.
– Bada burattino, bada!.. Non credere di divertirti alle mie spalle! Guai a te, se mi scappa la pazienza!
– Ebbene, padrone; volete sapere tutta la vera storia? Scioglietemi questa gamba e io ve la racconterò.
Quel compratore, curioso di conoscere la vera storia, gli sciolse subito il nodo della fune, che lo teneva legato: e allora Pinocchio, trovandosi libero come un uccello nell’aria, prese a dirgli così:
– Sappiate dunque che io ero un burattino di legno, come sono oggi: ma mi trovavo a tocco e non tocco di diventare un ragazzo, come in questo mondo ce n’è tanti: se non che per la mia poca voglia di studiare e per dar retta ai cattivi compagni, scappai di casa… e un bel giorno, svegliandomi, mi trovai cambiato in un somaro!.. Che vergogna fu quella per me!.. Portato a vendere sul mercato degli asini, fui comprato dal Direttore di una compagnia equestre, il quale si messe in capo di far di me un gran ballerino e un gran saltatore di cerchi: ma una sera, durante lo spettacolo, feci in teatro una brutta cascata e rimasi zoppo da tutt’e due le gambe. Allora il Direttore, non sapendo che cosa farsi d’un asino zoppo, mi mandò a rivendere, e voi mi avete comprato!..
– Pur troppo! E ti ho pagato venti soldi. E ora chi mi rende i miei poveri venti soldi?
– E perché mi avete comprato? Voi mi avete comprato per fare con la mia pelle un tamburo!..
– Pur troppo! E ora dove troverò un’altra pelle?…
– Non vi date alla disperazione, padrone. Dei ciuchini ce n’è tanti in questo mondo!
– Dimmi, monello; e la tua storia finisce qui?
– No – rispose il burattino – ci sono altre due parole, e poi è finita. Dopo avermi comprato, mi avete condotto in questo luogo per uccidermi, ma poi, cedendo a un sentimento pietoso d’umanità, avete preferito di legarmi un sasso al collo e di gettarmi in fondo al mare. Questo sentimento di delicatezza vi onora moltissimo e io ve ne serberò eterna riconoscenza. Per altro, caro padrone, questa volta avete fatto i vostri conti senza la Fata…
– E chi è questa Fata?
– È la mia mamma, la quale somiglia a tutte quelle buone mamme, che vogliono un gran bene ai loro ragazzi, e non li perdono mai d’occhio, e li assistono in ogni disgrazia, anche quando questi ragazzi meriterebbero di esser abbandonati e lasciati in balia a sé stessi. Dicevo, dunque, che la buona Fata, appena mi vide in pericolo di affogare, mandò subito intorno a me un branco infinito di pesci, i quali credendomi davvero un ciuchino morto, cominciarono a mangiarmi! E che bocconi che facevano! Non avrei mai creduto che i pesci fossero più ghiotti anche dei ragazzi!.. Chi mi mangiò gli orecchi, chi mi mangiò il muso, chi il collo e la criniera, chi la pelle delle zampe, chi la pelliccia della schiena… e, fra gli altri, vi fu un pesciolino così garbato, che si degnò perfino di mangiarmi la coda.
– Da oggi in poi – disse il compratore – faccio giuro di non assaggiar più carne di pesce. Mi dispiacerebbe troppo di aprire una triglia o un nasello fritto e di trovargli in corpo una coda di ciuco!
– Io la penso come voi – replicò il burattino, ridendo. – Del resto, dovete sapere che quando i pesci ebbero finito di mangiarmi tutta quella buccia asinina, che mi copriva dalla testa ai piedi, arrivarono, com’è naturale, all’osso… o per dir meglio, arrivarono al legno. Ma dopo dati i primi morsi, quei pesci si accorsero subito che il legno non era ciccia per i loro denti, e se ne andarono chi in qua, chi in là. Ed eccovi raccontato come voi, tirando su la fune, avete trovato un burattino vivo, invece d’un ciuchino morto.
– Io mi rido della tua storia – gridò il compratore imbestialito. – Io so che ho speso venti soldi per comprarti, e rivoglio i miei quattrini. Sai che cosa farò? Ti porterò al mercato, e ti rivenderò a peso di legno per accendere il fuoco nel caminetto.
– Rivendetemi pure: io sono contento – disse Pinocchio.
Ma nel dir così, fece un bel salto e schizzò in mezzo all’acqua. E nuotando allegramente e allontanandosi dalla spiaggia, gridava al povero compratore:
– Addio, padrone; se avete bisogno di una pelle per fare un tamburo, ricordatevi di me.
E poi rideva e seguitava a nuotare: e dopo un poco, rivoltandosi indietro, urlava più forte:
– Addio, padrone; se avete bisogno di un po’ di legno per accendere il caminetto, ricordatevi di me.
Si era tanto allontanato, che non si vedeva quasi più.
Intanto che Pinocchio nuotava alla ventura, vide in mezzo al mare uno scoglio che pareva di marmo bianco, e su in cima allo scoglio, una bella capretta che belava e gli faceva segno di avvicinarsi.
La cosa più singolare era questa: che la lana della capretta era tutta turchina, ma d’un turchino così sfolgorante, che rammentava moltissimo i capelli della bella Bambina.
Lascio pensare a voi se il cuore del povero Pinocchio cominciò a battere più forte! Raddoppiando di forza e di energia si dette a nuotare verso lo scoglio bianco: ed era già a mezza strada, quand’ecco uscir fuori dell’acqua e venirgli incontro un’orribile testa di mostro marino, con la bocca spalancata, e tre filari di zanne.
Quel mostro marino era né più né meno quel Pescecane ricordato più volte in questa storia.
Immaginatevi lo spavento del povero Pinocchio, alla vista del mostro. Cercò di scansarlo, di cambiare strada: cercò di fuggire: ma quella immensa bocca spalancata gli veniva sempre incontro con la velocità di una saetta.
– Affrettati, Pinocchio! – gridava belando la bella capretta.
E Pinocchio nuotava disperatamente con le braccia, col petto, con le gambe e coi piedi.
– Corri, Pinocchio, perché il mostro si avvicina!..
E Pinocchio, raccogliendo tutte le sue forze, raddoppiava di lena nella corsa.
– Bada, Pinocchio!.. il mostro ti raggiunge!.. Eccolo!.. Eccolo!.. Affrettati per carità, o sei perduto!..
E Pinocchio a nuotare più lesto che mai, e via, e via, e via, come anderebbe una palla di fucile. E già si accostava allo scoglio, e già la capretta gli porgeva le sue zampine davanti per aiutarlo a uscir fuori dell’acqua… Ma!..
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